Gianluigi Esposito è un artista poliedrico. Musicista, reduce da una tournée con Michele Placido. Appassionato di teatro, ha organizzato ad Angri un laboratorio teatrale con Sergio Solli. Come se non bastasse, da qualche anno, nel cuore del centro storico del suo paese, tra le cosiddette quattro vie, ha inaugurato una taverna, un’osteria, un ritrovo familiare, scegliete voi la formula giusta, dove si mangia come una volta con un menu che può variare a seconda della disponibilità della spesa. Stiamo parlando del Vico d’o Vattariello in via Di Mezzo Nord, un luogo intimo, raccolto, accogliente. Pochi posti per chi sceglie di trascorrere qualche ora. Tranquillamente. Per ricordare e rivivere i sapori di una volta.
Gianluigi è anche molto creativo. È un attento selezionatore di prodotti, alla continua ricerca del meglio per coccolare il palato dei suoi clienti ed estimatori che lo scelgono per la continua attenzione ai particolari.
Certo, in questa avventura non è solo. In cucina, ci sono la mamma, Anna Ferraioli, e un giovane cuoco, Maurizio Raiola, in perfetta sintonia con le idee del patron.
L’altra sera, dopo la partita Juve-Napoli, sono tornata a fargli visita perché qualche settimana prima ero stata incuriosita dall’invito di Gianluigi che desiderava farmi assaggiare un piatto nuovo.
Arrivata ad Angri, sono rimasta letteralmente impressionata dai giovani presenti in strada, a conferma di un paese che, al contrario di altri, con l’avvento della società ipertecnologica continua a essere viva.
Varcata la soglia di questo luogo accogliente, Gianluigi, come al solito, mi ha accolto con familiarità e abbiamo incominciato a chiacchierare di tutto: enogastronomia, teatro, emergenza sociale.
Tra una parola e l’altra c’è stata la sfilata delle portate, avviata con l’assaggio di una fetta di pane con uno squisito filo di olio extravergine di oliva pugliese di un produttore eccelso,
che produce per sé e per pochi prescelti. A seguire un antipasto ricco, ma delicato, studiato per non rovinare l’appetito: polpette di pane,
bruschette con pomodori,
selezione di formaggi e salumi,
alici fritte,
fegato con alloro,
zuppa di soffritto.
Fin qui tutto bene, ma ciò che mi ha letteralmente sconvolta è stata la pasta e fagioli del questore.
Che cos’è? Per essere banali, potremmo dire la classica pietanza della tradizione contadina nella versione con cozze, ma il modo in cui viene servita lascia esterrefatti e affascinanti. È arrivata a tavola in una pagnotta di pane adibita a pentola di terracotta, completa anche di coperchio.
Senza parole. In un attimo, la mia mente è andata indietro di almeno trent’anni riportandomi alla mente e al cuore l’immagine di mio nonno che mangiava la pasta e fagioli sulle fette di pane cafone.
Al di là dell’eccezionale impatto visivo, il palato non ha potuto far altro che confermare e rassicurare quanto percepito alla vista.
Dopo aver mangiato la pasta e fagioli del questore, la degustazione non poteva continuare per non interrompere la magia proustiana della serata.