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Schermata 2014-09-06 alle 19.34.00La duplice natura dei territori costieri, attaccati alla terra ma affaccianti sul mare è la chiave interpretativa dell’intero Iter espositivo dell’artista Sasà Sorrentino (in foto) che, in qualità di pittore, scultore e restauratore ci mostra il continuum esistente tra i diversi campi di applicazione della sua arte integrandoli in un processo evolutivo che parte dalla pittura e termina con il riciclo dei materiali di restauro.
L’interesse dell’artista muove dall’indagine sulla paura dell’ignoto, che identifica con il mare e le creature, spaventose e affascinanti al contempo ,che lo popolano , in conseguenza o in opposizione alla necessità di avere radici, concetto che egli esprime assimilandolo alla terra. Ripercorrendo i simboli e i riti della storia dei popoli mediterranei,Sasà Sorrentino si muove attraverso immagini mitiche e ritualità pagane evidenziando il legame che esiste da sempre tra l’entroterra, cuore pulsante di umanità tutta terrestre, e la costa, volto scoperto e limpido.
La Pistrice, mostro mitologico di origine medievale con la testa di volpe, drago o cane e il corpo di pesce, è direttamente legato alle città costiere del Meridione d’Italia e rappresenta la paura dell’Ignoto. L’artista rappresenta la creatura utilizzando tamponi per la gommalacca seguendo il sentiero già percorso dall’arte informale. L’arte intervienedopo. Dopo che i materiali dell’arte sono già stati usati e consumati. Dopo che essi avranno raccontato la storia che è accaduta prima che venissero fermati sulla tela.
<< Consapevole di non rappresentare più un pericolo la Pistrice rivolge la testa verso la terra, componente della sua duplice natura e verso la quale protende, addomesticata, in cerca di stabilità . Tra collo e corpo si intravede uno spazio vuoto, unico punto fermo della spirale costituita dal suo movimento. La rappresentazione di ciò che spaventa costituisce un modo per scongiurare il pericolo>> dice l’artista.
E Sasà mette in atto lo stesso processo demistificatorio rappresentando nei cicli “Il Ballo”, “Il Canto” e “la Folla”gli espedienti, ancora oggi utilizzati nei paesi dell’entroterra, per “scacciare il Male”,o più semplicemente, per riappropriarsi del Tempo rompendo con il ritmo del lavoro.
L’uso del colore ricorda l’ Oskar Kokoschka del Die Bruckeed esprime con estrema sintesi lo stato emotivo dell’artista dinanzi allo spettacolo del non detto, del percepito, come un osservatore accurato che presta attenzione al dettaglio, consapevole della sua importanza nella definizione complessiva. Ne costituisce un esempio “La folla INcalza”.
I suoi trascorsi di restauratore si notano nel recupero delle calze utilizzate per filtrare la gommalacca. La moltitudine si muove compatta, verso uno spazio bianco in attesa di essere recuperato per dare un senso al fine verso cui tende la folla.
«Il mio è lo sguardo dell’osservatore distaccato che guarda la folla dall’esterno, quando ancora si sta plasmando, per coglierne la trasformazione. E così con la giusta percezione d’insieme data dalla lontananza ne colgo la trasformazione in un essere unico, androgino».
Nelle sue opere aventi come tema la Natività o la Crocifissione di Cristo le varie riproduzioni in differenti colori appaiono all’osservatore uguali e diverse al contempo rivelando che la natura mutevole dell’uomo si evolve, si lega e si slega a quella degli altri, si raccoglie in sé e si dona all’altro come un atto naturale e spontaneamente voluto, così da integrarsi perfettamente con il tema delle sue opere pittoriche : la costruzione dell’identità attraverso la sintesi degli opposti

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