di Emilia Filocamo
Questa intervista comincia con un viaggio: certo, si potrebbe aggiungere che, in fondo, tutte le interviste sono viaggi. Sono itinerari che entrano nel mondo dell’intervistato, tra le pieghe dei suoi percorsi, della vita, tra ripensamenti e sogni, vittorie e piccole sconfitte. In questo caso specifico, l’intervista al noto attore Giorgio Pasotti, avviene davvero mentre sta viaggiando per raggiungere Ravello e il Caruso. È una situazione insolita in cui parleremo anche della meta, ancora prima di toccarla, e la meta stessa aleggerà, più o meno netta e nitida per tutto il corso della nostra chiacchierata.
Fiction, cinema e teatro: se potessi associare ad ognuna di queste esperienze un’età o un periodo della tua vita, quale sceglieresti e perché?
Non riesco a pensare ad un periodo preciso, o meglio, non riesco a scegliere perché tutti sono stati diversi tra loro ed ugualmente importanti. Sicuramente gli esordi sono legati al cinema: il mio inizio è avvenuto con I piccoli maestri di Daniele Luchetti, un’opera importante, approdata a Venezia. Poi è stata la volta di Muccino e tutto questo è avvenuto intorno ai 30 anni. Poi, a seguire, dai 30 direi, c’è stata la parentesi televisiva grazie alla quale ho interpretato personaggi di grande successo. Ecco, quella per me è stata una fase di totale scoperta. Allora non esistevano le piattaforme di oggi, a contendersi lo share erano solo Rai 1 e Canale 5 e questo consentiva agli spettatori di restare incollati davanti al televisore. Ricordo una puntata di Distretto di Polizia in cui ero presente che registrò ben 14 milioni di spettatori, un vero e proprio record che adesso sarebbe quasi impensabile. Ma soprattutto quella fase mi ha fatto capire il potere della tv, la capacità che ha di entrare in casa degli spettatori e di conquistarli. Poi, con l’età matura, è arrivato il teatro. In questo senso posso dire che sto facendo un percorso all’inverso rispetto agli altri colleghi che hanno cominciato direttamente dal teatro e ti dico che le emozioni e le soddisfazioni che regala sono impagabili. Innanzitutto il teatro è la vera casa degli attori, e poi il contatto con il pubblico è intimo, riesci a sentirne il respiro, a palparne le emozioni. Adesso, invece, sono passato alla fase della regia e della scrittura, un territorio in cui devi essere preparato perché è assolutamente affascinante ma anche molto complesso. Però vedere una propria idea che prende forma è qualcosa di incredibile, un’emozione davvero unica.
Come hai detto tu stesso, hai interpretato personaggi a cui il pubblico si è affezionato particolarmente, in fiction di grande successo. Quando, secondo te, un attore si rende davvero conto che è arrivato il momento di lasciare un personaggio e di andare oltre, nonostante i riscontri lusinghieri?
Molti colleghi restano incastrati in un personaggio per anni. Io ho una regola, ma da sempre, non interpretare mai più di due serie, poi arriva la necessità, quasi fisiologica, di cambiare pelle. Temo l’identificazione totale con il personaggio interpretato e questo può anche danneggiare perché dopo non si risulta più credibili in altri ruoli. Così preferisco abbandonare: ricordo ancora la discussione con il produttore di Distretto di Polizia quando decisi di lasciare il mio personaggio che aveva un grande successo, personaggio che poi è stato fatto morire. Lui non voleva farlo ma poi, con il tempo, ho avuto ragione perché il mio personaggio, scomparendo, è rimasto nell’immaginario collettivo, nel cuore di tutti gli spettatori.
Quando ci siamo parlati al telefono la prima volta, mi hai detto che sei stato sul set in montagna per due mesi. Puoi raccontarci per quale lavoro e puoi anticiparci qualcosa dei tuoi prossimi progetti?
Non voglio stare qui ad elencarti tutti i progetti perché poi risulterei noioso. Ero in montagna per le riprese del film Il Rosso Volante, la storia di Eugenio Monti, campione di bob di Cortina che ha avuto una vita rocambolesca. Il film uscirà in occasione dell’inizio delle Olimpiadi invernali Milano Cortina del 2026. Il bob è uno sport poco raccontato ma assolutamente cinematografico: si vive tutto sulla soglia dei millesimi, ci sono forza, sacrificio, rischio di morire, coraggio. Lui ha vinto la sua medaglia nel 1968, a 40 anni, una cosa impensabile negli anni ‘60. E’ un film Rai che, appunto, aprirà le Olimpiadi invernali del prossimo anno. E poi sono regista dell’Otello nella riscrittura di Dacia Maraini. Debutteremo a Verona il prossimo 10 luglio nell’ambito dell’Estate teatrale veronese. Ad interpretare Otello, l’attore campano di Mare Fuori, Giacomo Giorgio, io sarò Iago, quindi siamo veramente a pochi giorni dal debutto.
C’è un film, ovviamente italiano, di cui rimpiangi di non esserne stato parte?
Assolutamente. Avevo fatto il provino con Luciano Ligabue per Radio Freccia ma non sono stato scelto. Succede, purtroppo. Mi è dispiaciuto molto perché io adoro Luciano, lo considero un grande artista.
Sei tra i premiati di Facce da Spot 2024, kermesse ideata e realizzata con successo da Maximiliano Gigliucci e Graziano Scarabicchi , tenutasi lo scorso settembre a Roma, presso l’Ara Pacis. Il tuo rapporto da spettatore con la pubblicità?
Da spettatore considero la pubblicità comunque un’idea filmica, un progetto artistico, anche se ha fini commerciali. Ho un ottimo rapporto anche perché sono Ambassador BMW sui canali social e questo mi permette di interpretare, ma anche di dirigere e scrivere i testi, quindi è una sorta di esercizio di stile. E poi sono stato testimonial per la Mulino Bianco, una parentesi che ancora oggi considero assolutamente piacevole, divertente.
A chi hai dedicato il tuo primo successo? La prima persona a cui hai pensato nel momento esatto in cui hai capito che ce l’avevi fatta?
Ho dedicato il mio primo successo ai miei genitori. Avevo 27 anni e quando ho avuto la sensazione di avercela fatta. Tutto stava avvenendo nell’ambito di un mondo che non era un progetto di vita, io volevo diventare medico, e poi non sono figlio d’arte. Ho voluto dedicarlo a loro perché sono sempre stati comprensivi, mi hanno sempre supportato nelle mie scelte anche quando mi hanno portato via da casa. E non era scontato che potesse accadere. Il mio pensiero è andato subito a loro.
Sei al Caruso, a Ravello, luoghi di vacanza ed ispirazione per antonomasia. La tua vacanza più bella da bambino?
Da bambino trascorrevo le vacanze in un luogo molto simile a Ravello: Portovenere. Mentre i miei amici erano a Rimini o a Riccione, mia madre, anticonformista, sceglieva Portovenere. Mi ritrovavo lì senza amici, coetanei, movida. Eppure non nego che, proprio come Ravello, era un luogo di pura poesia, di creatività, ispirazione. E continuo a fare scelte simili: non considero elitario un luogo gettonato, anzi, penso proprio il contrario ed evito i cosiddetti posti gettonati. Elitario è un luogo dove puoi ricaricarti, tornare in contatto con te stesso, con la natura, senza troppa gente.
Al Caruso celebriamo lo slow luxury che equivale a dedicarsi a sé stessi, a riscoprire il proprio tempo visto che il tempo, appunto, è il più grande dei lussi. Qual è il “ tempo”, ossia il momento della vita che Giorgio Pasotti desidererebbe riportare indietro e perché?
Sono felicissimo e grato per tutto ciò che ho, dico fortunato anche se non credo nella fortuna ma nella forza di volontà, nel sacrificio, nel duro lavoro e nello studio. Però se mi dicessero “ rinuncia a tutto quello che hai, al successo e fatti un altro giro”, lo farei subito. Il tempo che scorre inesorabile è evidente, la vita, come si suol dire, è un soffio, il tempo è la più democratica delle creature quindi, se mi venisse per assurdo offerta una possibilità del genere, direi subito di sì.
L’intervista si chiude qui: il viaggio è ancora in corso, iniziato da poco. Come faccio a spiegare a Giorgio Pasotti, mentre lascia la città, che qui, dietro ogni tornante, il tempo è una scoperta ed una visione? Che il profumo dei limoni è così insistente da stordire? Che i giardini si arrampicano senza paura sulle onde, che mare e cielo sono un tutt’uno. Come faccio a spiegargli in modo davvero chiaro che qui ci si sofferma più a lungo che altrove a guardare un panorama e che non si è mai in ritardo perché si vive il momento nella sua eccezionalità? Poi ci penso, con calma. No, non devo spiegarglielo. Tra circa tre ore sarà a Ravello, al Caruso, e allora saprà spiegarsi tutto da solo. E per rispondere a questa domanda o alle altre mille che la vita ci pone, avrà tutto il tempo che desidera.