di Emilia Filocamo
La pizza non è soltanto quello che si dice, si sa, si ama e si racconta. La pizza non è soltanto colore, morso, desiderio che diventa gola e acquolina, la pizza è una preghiera laica, un rituale, un padrenostro in cui le mani non si sollevano ma restano ancorate all’ostia della pasta, è un disegnare la terra a cui apparteniamo con una gestualità ancestrale e tramandata, intessuta nel nostro DNA da tempo immemore, corrisposta come un bacio, un testimone, un’eredità, un corredo. Poi, dopo ciò, si possono ammettere tutte le altre cose e per altre cose intendiamo origine, prima pizza della storia, la migliore pizza, pizza gourmet, pizza insolita.
Stasera, alle ore 20.00, presso la Parulè di Marina d’Arechi a Salerno, tutto ciò acquisterà concretezza e veridicità grazie al talento e alla passione del noto pizzaiolo Giuseppe Pignalosa che, mai pago, mai domo quando si tratta di intuizioni gastronomiche, darà vita ad un evento che si preannuncia unico.
L’appuntamento, destinato a stampa, blogger, influencer, professionisti dei media ed esperti del settore, vedrà la partecipazione di una vera e propria rete di piccoli produttori o di contadini degli orti condivisi del Parco Nazionale del Cilento, Alburni e Vallo di Diano ma anche di quelli vesuviani così da creare una preziosa cerniera sul territorio campano grazie a passione, fatica, terra, sostenibilità, tradizione. La Parulè diventa dunque punto di incontro, di scambio tra sapienze e territori, tra dosi e tecniche, tra campagna e città, giardino ed asfalto, destinato proprio a chi, non avvezzo ad un rapporto costante con la terra e con i suoi frutti, vuole andare all’origine dell’autenticità, scavare fino alle viscere una locuzione troppo spesso abusata “ a chilometro zero”, comprendere cosa si intenda davvero per sostenibile, genuino e privare questi termini di ogni forzatura, finzione, abbellimento fine a se stesso. A collaborare, oltre ai produttori e ai contadini, un territorio, quello campano, generoso per definizione e per geografia. Nel suo alternarsi tra colline e fondale, tra montagne e mare, nel suo unire pianura e tornanti, roccia e sabbia, si offre come ispirazione ed ingrediente al tempo stesso, solletica l’estro, spolvera i ricordi e li rinnova, diventa amo per intuizioni che si rivelano vincenti.
Presso il Porto di Marina d’Arechi a Salerno, la pizza si conferma vessillo e bandiera non di una provincia, non di un luogo specifico, non di un campanile ma di un territorio intero e della fatica con cui i figli di quel territorio raccontano i propri prodotti, le difficoltà e le gioie di un raccolto. La pizza a Le Parulè è un inno che accomuna, che ci riconosce fratelli, un inno in cui le strofe sono rosse, verdi e bianche, così come il tricolore, come il basilico delle piane, i pomodori dell’agro, il bianco abbagliante frutto della migliore cagliata. E su tutto, ogni cuore di contadino, ogni mano che ha vangato, zappato, colto, annaffiato, coccolato, sperato nella pioggia con il palmo spalancato o lottato, richiudendolo in attesa di fioriture. Ma non è forse questo il segreto della tradizione? Non è forse questa la nostra storia? Scritta da tutti, scritta per tutti e letta con curiosità ed ammirazione da chi questa storia la osserva a distanza, magari da oltreoceano, spiegandosi così la straordinarietà di un sapore, e di un intero Paese.
La pizza secondo Giuseppe Pignalosa
Cosa ti aspetti e cosa ti sta più a cuore di questo progetto?
È un progetto che nasce dalla terra e torna alla terra. Mi sta a cuore creare un ponte vivo tra chi coltiva con dedizione e chi mangia con consapevolezza. Voglio che ogni pizza racconti una storia vera: quella di un contadino, di un seme messo a dimora, di una stagione che arriva puntuale. Non si tratta solo di ristorazione, ma di rigenerazione. Della cultura, delle relazioni, dei luoghi.
Mi aspetto che questo progetto possa ispirare un nuovo modo di intendere la gastronomia: come atto collettivo, educativo e poetico.
Un’alleanza agricola e umana, che restituisca dignità alla terra e a chi la custodisce.
La Campania vanta fortunatamente una rete di produttori di nicchia e di tradizione che costituisce un patrimonio unico al mondo: qual è il prodotto a cui non puoi rinunciare?
E non solo in cucina ma anche sulla tua tavola. È difficile scegliere, perché ogni prodotto ha un volto, una voce, una storia che ho incrociato nei campi. Ma se devo dire un nome, dico il pomodoro. Perché è sole che si fa succo. Perché nella sua semplicità racchiude forza, memoria, acidità e dolcezza, proprio come la nostra terra. Non è solo un ingrediente: è un simbolo. Della nostra cultura, della pazienza, della cura.
Sulla mia tavola non manca mai, in tutte le sue forme: fresco, in conserva, confit, al naturale. È il mio modo di restare connesso alle radici.
La pizza è un po’ la nostra bandiera, non solo campana ma nazionale: in un periodo di guerre, di tensioni internazionali, di grande buio e sofferenza, quali colori metteresti sulla tua pizza per la pace e quali ingredienti?
Metterei il verde del vero olio extravergine d’oliva, perché è linfa e speranza. Il rosso del pomodoro, che è cuore e resistenza. Il bianco di un fiordilatte buono, che profuma di casa, d’infanzia, di pace. E poi aggiungerei una foglia di basilico: un gesto piccolo ma potente, come un abbraccio sul piatto.
Questa pizza, così semplice, parla una lingua universale: quella della condivisione.
Perché dove c’è una pizza c’è una tavola, e dove c’è una tavola c’è la possibilità di stare insieme
Se potessi dedicare una delle tue pizze a un personaggio del passato, chi sarebbe, quale pizza sceglieresti e perché?
La dedicherei a mio padre e mio figlio. Perché è con loro che ho capito che la cucina non è una tecnica, ma una dichiarazione d’amore. Gli dedicherei una pizza che porto nel cuore: una marinara, con il pomodoro in conserva fatto in casa, l’aglio rosolato piano, un pizzico di origano secco e olio buono. Una pizza contadina, povera solo all’apparenza, ma ricca di verità e memoria. È grazie a loro se oggi riesco a raccontare una storia con ogni impasto: una storia che profuma di cenere, forno e radici. Ma oggi, dedicare una pizza significa anche prendere posizione. Per troppo tempo chi ha fatto la pizza è rimasto chiuso in pizzeria. Io, invece, ho sentito il bisogno di uscire, andare a vedere da dove arrivano i miei prodotti, conoscere le mani che li coltivano.
Ho scelto di creare una casa, ma anche un’alleanza: perché la pizza non sia solo un piatto, ma un gesto che restituisce valore all’ambiente, alle persone, alle comunità che quasi non esistono più.
Oggi, fare pizza per me è un atto politico e umano. E ogni giorno scelgo da che parte stare.