Don Antonio 1970: vi raccontiamo la nostra esperienza nel regno di Fabio Di Giovanni

Siamo ritornate da don Antonio 1970 dopo qualche anno.
Abbiamo scelto un giorno di inizio settimana in una Salerno silenziosa e contemplativa. In via Molo Manfredi, siamo state commensali di un’esperienza unica. Non avevamo avuto ancora modo di imbatterci in Fabio Di Giovanni direttamente. Lo avevamo conosciuto, solo, attraverso le sue creazioni artigianali. In compagnia di Aldo Padovano, ci ha accolto e ci ha traghettato sulle sponde della sua idea di lievitazione. Di assaggio in assaggio, è fuoriuscito il ritratto di una personalità definita. Fabio ha le idee chiare. Per esporle non ha bisogno di alzare la voce. Gli basta poco per riuscire a portarti nel suo mondo. E, si sa, noi di Ritratti abbiamo un difetto: ci fidiamo di chi negli occhi conserva la limpidezza dell’infanzia.
E scegliamo il menu “Conforme”, prima però chiariamo che ci affidiamo a ciò che il maestro pizzaiolo sceglierà per noi.
Si comincia con il bao al vapore e fritto con pulled pork e patate in doppia consistenza. Il messaggio arriva forte e chiaro. Siamo di fronte a un artigiano che non è bravo solo con le lievitazioni. È anche uno chef della pizza. Seleziona gli ingredienti e li lavora in modo sapiente per trasformarli nella farcia delle sue pizze.

Don Antonio, il bao

Il viaggio prosegue con la ciabatta multicereali con polpetta e ragù che sa di pranzo domenicale.

Don Antonio, la ciabatta multicerele

È il ricordo di un forno (padellino con concentrato ai 3 pomodori, origano di montagna e olio evo all’uscita) che ci riporta all’infanzia. Sembra di vederli i contadini che accendono il forno a legna nei giorni di festa e preparano prima il pane e poi la pizza, a modo loro.

Don Antonio, il ricordo di un forno

Giunge il momento della pizza intesa in senso classico. Assaggiamo quella a ruota di carro nella versione provola e pepe. Un must.

Don Antonio, la ruota di carro provola e pepe

È poi la volta della pizza contemporanea. Cenere (patate cotte sotto cenere, porro fritto in amido di mais e poi essiccato, pancia di maiale cotta a bassa temperatura, finta cenere di porro bruciato, profumo di aceto di riso) è un gusto che riporta alle cotture di una volta, quando anche la cenere del camino aveva un ruolo per l’economia domestica.

Don Antonio, “Cenere”

Sapiente l’abbinamento dei vini: Ottouve Gragnano Doc di Salvatore Martusciello e Fiano in purezza di Cantine Carbone
La stessa attenzione è riservata ai dolci.
La cialda di cioccolato a latte con ganache al cioccolato bianco, gel di mango e passion fruit è accompagnata dal “Su Travu” (malvasia e cabernet).

Don Antonio, cialda di cioccolato al latte con ganache al cioccolato bianco, gel di mango e passion fruit

Il padellino dolce (impasto alle nocciole, mousse di ricotta e confettura di pere, pera Smith essiccata) conclude la degustazione con la birra “Guinness Stout”.

Don Antonio, il padellino dolce

La nostra serata finisce così. Andiamo via con una certezza: aver partecipato a un viaggio sensoriale esperenziale.

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